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Occupy Gezi, la rivolta turca ignorata dai media

“Non c’è un leader né una guida politica. È un movimento fatto soprattutto di persone comuni e cittadini”. A parlare è Özgür Mumcu, che rinuncia al ruolo di capo o portavoce per definirsi uno dei tanti manifestanti, ma sicuramente uno dei primi e pochi ad annunciare al mondo cosa sta avvenendo in Turchia, dove la mobilitazione  pacifica partita a Istanbul  il 31 maggio come protesta all’abbattimento di alberi in piazza Takrin per far posto a caserme e centri commerciali- si è trasformata in una rivoluzione dal basso contro il poco democratico governo di Erdogan.

Migliaia le persone scese in piazza, una mobiltazione senza precedenti che ha fatto tornare in mente la primavera araba e il movimento degli indignados.

Il diritto alla protesta da parte dei manifestanti di Gezi Park si è presto trasformato in uno scontro con la repressione violenta della polizia che fa largo e indiscriminato uso di lacrimogeni. Facebook e twitter rilanciano in tutto il web le immagini di centinaia di manifestanti insanguinati e intossicati dai gas utilizzati dalle forze dell’ordine per disperdere la folla.

Il governo Erdogan non accenna a fare un passo indietro e tanto meno a rassegnare le dimissioni come richiesto dalla protesta.

La cancellazione del verde nell’area di Gezy è solo l’ultimo dei provvedimenti che ha scatenato le ire dei turchi, a metà maggio, in barba alla Convenzione Europea sui Diritti Umani, l’esecutivo in collaborazione con la Commissione Informatica aveva deciso di introdurre 22 filtri obbligatori nel web con lo scopo di “proteggere gli utenti”, in più oltre 7mila siti sono stati messi all’indice dal governo e sottoposti a una censura rigorosa, tra tutti Youtube e Blogspot. Serie televisive come Sex and the City sono state bandite dalle televisioni turche in quanto “ree” di affrontare tematiche quali il matrimonio gay.

Il mainstream della comunicazione e delle notizie continua a sottovalutare e a parlare poco di quello che sta accadendo in Turchia malgrado questa sia la nazione con il maggior numero di giornalisti arrestati.

È il web, già protagonista della rivolta egiziana del 2011, ad essere la piattaforma su cui i manifestanti si organizzano e denunciano l’oltraggio alla democrazia perpetuato dal governo reggente, facebook e twitter sono stati oggetto di blocchi parziali che ne rallentano l’accesso e la navigazione per evitare che vengano diffuse le notizie che le agenzia di stampa e i media in generale, controllati direttamente dal governo, continuano a nascondere.

In qualità di agenzia di comunicazione che del web e dei social network fa uso quotidianamente e in nome della libertà di espressione, noi di Laboratorio Com  sentiamo l’esigenza di dare diffusione alle seppur poche informazioni che giungono dalla Turchia. Uno dei nostri founder vive lì, a pochi passi da piazza Taksim.

Vogliamo essere solidali con i dimostranti. Saremo grati a tutti coloro che decideranno di fare lo stesso condividendo i contenuti video e fotografici che pubblicheremo sulla nostra pagina facebook.

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